Il trattato di amicizia tra Italia e Libia è l'ennesimo strumento di propaganda e di demagogia per il Premier e i suoi alleati della Lega. La questione del "debito coloniale” – che prima o poi sarebbe dovuta essere affrontata - è stata ridotta ad una questione di convenienze economiche reciproche, accompagnata da una paradossale e strumentale clausola sulla vigilanza comune delle frontiere contro l'immigrazione clandestina.
La questione coloniale investe una materia delicata che tocca la memoria complessiva del nostro paese nei confronti di quei popoli che hanno subito la nostra ricerca di un "posto al sole". Non v'è traccia alcuna in questo trattato sulla necessità di una memoria nazionale sulla nostra colonizzazione, troppo spesso e in maniera sbrigativa presentata come colonialismo buono laddove la storiografia contemporanea suggerisce uno sguardo più critico. Non basta un ingente flusso di denaro a riparare i danni, a maggior ragione se esso non è accompagnato da un’ecologia della memoria costruita insieme dai colonizzatori e dai colonizzati al fine di mettere in piedi relazioni di tipo nuovo.
Ma ci sono altri aspetti che mi trovano critico nei confronti della stipula del Trattato. L'idea, cioè, di affidare a un regime come quello libico il compito di fare per conto nostro il ruolo di gendarme del mediterraneo. A parte il fatto che facendo ciò Gheddafi perderebbe una preziosa rendita, una spada di Damocle grazie alla quale ricattare l'Italia, e mi sembra improbabile. In secondo luogo, trovo impossibile che l'autoproclamato colonnello paladino del terzo mondo si alieni al simpatia che crede di avere in Africa e altrove. Questo paladino del terzo mondo è anche colui che non ha firmato le convenzioni Onu sui diritti umani, e che pratica la tortura nei campi dove sono ammassati gli immigrati a Kufra e a Seba, come ampiamente documentato dagli organismi di difesa dei diritti umani, dai documentari come quello di Andrea Segre (“Come un uomo sulla Terra”) e dai racconti degli immigrati stessi. Questo Trattato, dunque, avrebbe dovuto chiedere conto di ciò alla Libia.
Infine c'è l'assurdità e la sproporzione di devolvere ad un paese -tra l'altro ricco per la sua rendita petrolifera - 200 milioni di euro annui per 20 anni. Una somma ingente che sarebbe stato utile stanziare per la cooperazione con i paesi d'origine dell'immigrazione come azione preventiva di diminuzione dei fattori d'espulsione degli immigrati.
Ecco perché sono in dissenso rispetto alla decisione di approvare, da parte del nostro gruppo, il Trattato. Proprio in nome di quei volti incontrati da giornalista nel deserto libico oppure sulle coste dei vari paesi del Maghreb. Un modo per essere fedele alla loro richiesta: "non ti dimenticare di raccontare al mondo, all'Europa, all'Italia e ai nostri paesi africani ciò che succede in questo deserto". Che è anche, aggiungo io, un deserto di diritti e di dignità.
On.le Jean Leonard Touadi
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