COME UOMO A LAMPEDUSA

di Riccardo Biadene (per CARTA)
 

Venerdì 13 marzo 2009, in occasione della visita sull’isola del Commissario Europeo Jacques Barrot, il documentario “Come un uomo sulla terra” è stato proiettato nella Casa Fraternità della Chiesa di Lampedusa su iniziativa della cittadinanza. Il rifugiato etiope Dagmawi Yimer, coregista e protagonista del documentario, è tornato per la prima volta a Lampedusa dopo esserci sbarcato in fuga dalla Libia, il 30 luglio 2006.

 

Dopo che il Viminale ha preventivamente organizzato un paio di di voli per decongestionare il Cie (Centro di identificazione ed Espulsione) di  Contrada Imbriacola, la situazione nei due centri di Lampedusa (l’altro è quello in costruzione alla ex base Loran) sembra meno critica rispetto alle ultime settimane, restano ora 668 immigrati. Il commissario alla giustizia e libertà civili della Commissione Europea, Jacques Barrot ha visitato il Cie ed ha dichiarato che vigilerà sul rispetto dei diritti umani e del diritto d’asilo. Al contempo tuttavia, nel corso di un’acceso incontro con alcuni rappresentanti dell’isola ha definitivamente confermato che l’isola ospiterà due strutture: un centro di identificazione ed uno di prima accoglienza che ufficialmente non supererà i 350 posti e che ciò dovrebbe ridurre al minimo i tempi di identioficazione e rimpatrio.

 

Nella mattinata, Dagmawi ha potuto incontrare Jacques Barrot e consegnargli, insieme ad una copia del documentario, le prime 5.000 firme della petizione contro le deportazioni in Libia, in presenza della stampa e di alcuni rappresentanti della comunità locale, tra cui il Sindaco De Rubeis. Il Commissario si è impegnato a prenderne visione e a darne risposta.

 

Alle sei di sera, alla proiezione erano presenti una cinquantina di persone tra cui tre degli ultimi quattro sindaci dell’isola, il Vicario del Prefetto, vigili del fuoco e marinai della guardia costiera, una radiogiornalista tedesca (dell’emittente Deutsche Welle) e alcuni rappresentanti di associazioni antirazziste di Palermo. Al termine della proiezione, le parole di Dag e la sua emozione hanno toccato i presenti; Dag si è detto felice di poter tornare a Lampedusa non come semplice numero, ma con il proprio nome e con il riconoscimento di un lavoro che difende la dignità e rivendica i diritti di quelle migliaia di persone che come lui hanno lasciato condizioni di vita estreme inseguendo, come chiunque farebbe ma ad un prezzo ingiusto e per molti insostenibile, la ricerca di un futuro migliore. Una speranza negata non soltanto dalle allucinanti condizioni di vita in Libia, ma purtroppo anche dalle dubbie prassi di selezione ed espulsione attuate dalle autorità italiane ed europee. Visti infatti i recenti accordi italolibici, non è ancora per nulla chiaro, in relazione al cospicuo dispiegamento di mezzi e fondi italiani ed europei per il controllo dei cosiddetti flussi di immigrazione irregolare, quali siano invece i canali e la tutela giuridica che garantiscano gli inevitabili flussi di migrazione potenzialmente regolare. Ammesso e non concesso infatti, che le condizioni di vita in paesi annichiliti dal giogo del debito pubblico e devastati da guerre per la gestione delle materie prime di cui si giovano le potenze economiche mondiali, consentano di articolare con legittimità tali distinzioni.  Considerato inoltre che secondo le dichiarazioni ufficiali dell’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) il settantacinque per cento dei migranti che approda a Lampedusa sono richiedenti asilo, e che soltanto il dieci per cento (approssimando per eccesso) dei clandestini oggi presenti in Italia è arrivato via mare, in Italia siamo di fronte ad un evidente mistificazione nel dibattito politico-mediatico su questi temi. È importante quindi che, così come la popolazione italiana sia messa al corrente di quanto accade a Lampedusa, località chiaramente penalizzata dalla situazione attuale, anche la popolazione dell’isola venisse a conoscenza di quali siano le inoppugnabili ragioni dei migranti che lasciano la Libia in condizioni di pericolo estremo. Una contrapposizione di due legittime rivendicazioni di giustizia non giova né agli uni né agli altri, mentre sembra invece favorire una comoda propaganda elettorale per una classe politica che ha scelto di declinare il complesso tema dell’immigrazione esclusivamente in termini di repressione e sicurezza. Alla luce delle norme contenute nel nuovo pacchetto sicurezza, di fatto in Italia agli immigrati, che costituiscono ufficialmente un innegabile motore economico e demografico di primaria importanza per il nostro paese, non viene riconosciuto degno né adeguato spazio giuridico e sociale. Ed è forse altrettanto grave per una cultura che si dica civile e democratica, che non vi siano serie politiche di integrazione né molti luoghi di reale condivisione e reciproca conoscenza per le comunità immigrate e la popolazione italiana. In tal senso, in contesto pubblico, la testimonianza diretta di Dag e l’opportunità per lui di rendersi soggetto narrante della propria esperienza ha avuto e continua ad avere un forte impatto anche su coloro che, magari loro malgrado, si sono ormai abituati ad un occasionale sguardo pietisitico e distaccato sulla categoria, non sulla persona, del povero migrante. Numeri e categorie permettono di individuare fenomeni, analizzare pragmaticamente gli elementi e le funzioni, ma non di guardare negli occhi le persone per riscoprire e comprendere ciò che accomuna nella differenza, ciò che spinge anche per amor proprio a volere riconosciuti gli inalienabili diritti di ogni uomo, donna o bambino. Sono questi gli occhi di Dag e degli altri protagonisti del documentario, puntati come lame nelle coscienze degli spettatori, mentre gli raccontano le atrocità che hanno dovuto subire senza aver commesso alcun crimine, soltanto per aver varcato un confine in cerca di una vita meno ingrata. E sono probabilmente gli stessi occhi che avrebbero incontrato gli abitanti dell’isola se avessero incontrato lo sguardo degli ultimi sbarcati all’Isola dei Conigli e al porto, la mattina di domenica 15 marzo.

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