Sul petto di Gheddafi spicca la foto di Omar al Mukhtar, «il leone del deserto». Cosa vuol far capire il leader libico, prima demonio terrorista e oggi angelo, agli ex-colonizzatori? Visto che loda il signor P2-1816 (quello che, di secondo mestiere, fa il presidente del consiglio) e che i conti – quantomeno economici – con il passato sono saldati, forse quella foto serve solo per la retorica interna e internazionale (in ogni grande città araba c’è una via dedicata a Omar al Mukhtar). Retorica. Negli anni di «mani pulite» un uomo politico, sedicente di sinistra, dopo un commosso ricordo pubblico del «martirio di Giacomo Matteotti» fu arrestato: nelle mutande aveva i soldi di una mazzetta. Colpa sua, non di Matteotti. Amnesty International e il film «Come un uomo sulla terra» raccontano cosa c’è nelle mutande – o meglio nei lager – di Gheddafi. Non per questo la vergogna tocca Omar al Mukhtar, anzi. La vergogna è tutta italiana e infatti, 80 anni dopo, quasi tutti preferiscono glissare su storie ignobili.
Un salto nel tempo. Fra gli anni ’20 e ’30 per oltre 200 volte i partigiani libici guidati dal «leone del deserto» attaccano gli italiani e svaniscono nel nulla. Imprendibili. Omar Al Mukhtar ha 63 anni quando, nel 1923, diventa il capo della resistenza anti-italiana in Cirenaica, come allora veniva chiamata la Libia. Una vita da insegnante del Corano e poi gli ultimi anni da eroe e genio militare. Infinitamente superiori per numero (oltre 20 mila contro 2-3mila) e per armamento (aerei e gas tossici massicciamente usati) i fascisti ci misero un decennio per piegare la resistenza libica che dalla sua aveva solo l’appoggio della popolazione e la conoscenza del territorio.
A vincere fu il generale Rodolfo Graziani, con massacri e campi di concentramento. Fascisti certo. Ma anche il colonialismo di Giolitti fu sanguinario quando nel 1911 (su pressioni del Banco di Roma, legato a interessi vaticani) aggredì la Libia: repressione scientifica, deportazioni (migliaia tra Favignana, Ustica e Ventotene ma anche tanti schiavizzati nelle grandi fabbriche del Nord Italia) e massacri come quello di Sciara Sciat su cui calò la censura. «Tripoli, bel suol d’amore» si cantava: in realtà suolo di orrore. Fra il 1911 e il ’15 la popolazione della Crenaica passa da 300mila a 120 mila.
Fu dunque Graziani, un criminale di guerra al pari delle Ss, a sconfiggere Omar al Mukhtar. Deportando circa 100mila libici in 13 campi di concentramento: in 40mila vi moriranno. Nell’estate del ’31 «il leone del deserto» è con soli 700 uomini, pochi viveri e quasi zero munizioni. L’11 settembre è catturato e dopo un processo-farsa impiccato il 15. Ha 70 anni e sale al patibolo sereno. «Non ci arrenderemo, la prossima generazione combatterà e poi la successiva e la successiva ancora». Da uomo religioso aggiunge: «da Dio veniamo e a Dio torniamo».
Di tutto questo sapremmo in Italia zero se non fosse per il coraggio di Angelo Del Boca e di pochi altri storici. In particolare sul massacro di Sciara Sciat bisogna ricordare il libro di Lino Del Fra - «Genocidio nell’oasi» - recentemente riedito.
Così paura fa la memoria che nell’Italia democratica non si può accedere agli archivi militari (salvo rare eccezioni come documenta «I gas di Mussolini: il fascismo e la guerra d‘Etiopia» sempre di Del Boca) e persino la fiction viene censurata. Nel 1982 un classico film hollywoodiano – con i pregi e i difetti tipici di quel cinema – racconta la storia di Omar al Mukhtar: «Il leone del deserto» è diretto da un regista siriano e sbanca ai botteghini di mezzo mondo, Occidente compreso. In Italia non arriva. Governi di vario colore lo bloccano con vari pretesti. Stasera su Sky Classics alle 21 lo si può vedere, anzi registrare per mostrarlo e chi non ha il satellite.
1 commento:
Articolo troppo di parte e con un'analisi della situazione libica prima dell'attacco italiano (per inciso non fu attaccata la Libia ma la guarnigione turca che li era di stazza visto che era una colonia di quel paese).
DEfinire del Boca uno storico mi sembra un po' eccessivo direi un buon giornalista con buone conoscenze storiche. Meglio il prof. Goglia per la storia del colonialismo africano.
Ed un invito ad approfondire sempre meglio.
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